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Commedia comica napoletana
conosciutissima e ancora oggi ripetutatmente proprosta alle nuove
generazioni nella versione filmica con straordinari interpreti come Totò
e la Loren, è stata nei tempi una testimonianza di una divertita ed
intelligente deformazione di casi reali o probabili. Ed è proprio da
questa «verosimiglianza dell' assurdo » che scaturisce il riso degli
spettatori, i consensi del pubblico, anche il più smaliziato.
Scarpetta, è stato definito il re del buon umore, ma, più opportunamente
sottolinea il D'Amico, Scarpetta è stato il creatore di un tipo, di una
maschera nuova, una specie di Pulcinella in borghese: Felice
Sciosciammocca.
Questa nuova maschera, ricreata sì, dal modello del mamo (lo scemo più o
meno beffato) dell'antica commedia (per cui il Rasi ricorda i
precedenti: il Filipeto goldoniano ed il Pippetto giraudiano) è meno
fantoccio e più uomo, meno fiabesco e più reale. Pur non avendo
lineamenti definiti, assume da un'avventura all'altra caratteri
sensibilmente vari, serbando, con lo stesso volto e lo stesso
abbigliamento ridicolo, il medesimo vago fondo di napoletana umanità.
Don Felice Sciosciammocca, questa volta non corre dietro alle gonnelle
di ballerine o sciantose, non ha di mira la moglie giunonica del suo
vicino di casa, ma ha un'unica preoccupazione ed ambizione, la carriera
di medico psichiatrico di un nipote che egli ha mantenuto agli studi con
la speranza di riceverne onori e decoro.
La commedia racconta, appunto, la visita di Don Felice in città ed il
brutto tiro giocatogli dal nipote, che colto di sorpresa dall'arrivo
dello zio gli fa passare la pensione dove alloggia per la casa di cura
per pazzi allestita con i soldi spediti nel giro di tanti anni.
Questa commedia andata in scena al Teatro Sannazaro il 15 marzo 1906.
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